venerdì 29 ottobre 2010

Elogio alla scrittura sul Venezia - Milano

Appeso alla bacheca del mio ufficio, tra volantini e biglietti da visita, c’è il ritaglio di un breve articolo di Beppe Severgnini apparso circa sei mesi fa sul Corriere della Sera all’interno della rubrica Italians, intitolato: “Prendete un treno per conoscere il mondo”. Si tratta di un breve commento che mischia saggezza, leggerezza ed ironia, nella migliore tradizione del noto giornalista (con una spassosissima nota sul suo viaggio di nozze tra Mosca e Pechino).
Il treno … forse il mio mezzo di trasporto preferito, sicuramente quello che uso  più frequentemente (auto esclusa). Durante le mie trasferte ferroviarie amo guardarmi attorno, studiare  le varie tipologie di viaggiatori e magari chiacchierare con qualche occasionale compagno di viaggio. Capita però che mi ritrovi seduta nel sedile singolo alla fine della carrozza (del resto mi piacciono i posti vicino al finestrino), allora cambio prospettiva e comincio a scrivere.
La scelta del momento perfetto  in cui accedere il computer o prendere carta e penna varia a seconda della tratta, sul Venezia-Milano è attorno alla fermata di Verona Porta Nuova. A quel punto la maggior parte dei passeggeri è ormai a bordo, inghiottita dai propri sedili: i turisti hanno ormai esaurito tutti i loro commenti sulla fantastica esperienza veneziana, i più hanno terminato le comunicazioni di servizio del tipo “sono appena partito, ti chiamo quando arrivo”, i manager hanno fatto sapere ad almeno una decina di colleghi che stanno andando a Milano e che la riunione/l’incontro/il corso ha avuto il successo sperato, gli agenti di commercio hanno smesso di disquisire sull’andamento delle vendite o sulle lamentele dei clienti, e se si viaggia sull’Eurocity diretto a Ginevra i dirigenti delle industrie farmaceutiche hanno appena terminato di parlare dell’ultimo innovativo composto o blister.
Quello è l’istante perfetto.
Il momento in cui tutti i passeggeri (e con questo includo anche la sottoscritta) esauriscono la loro frenesia da spostamento e si rilassano un po’: sonnecchiano, leggono, ascoltano l’i-pod o scrivono le loro e-mail.
Allora non mi serve infilare le cuffiette, il solo ticchettio delle dita sulla tastiera mi permette di estraniarmi da quel contesto e le idee affiorano. Sul treno ho scritto e riscritto di tutto: dal diario di bordo delle mie gite fuori porta ai resoconti delle riunioni, dalle cartoline ai budget aziendali, dalla filastrocca per la figlia neonata dei miei amici ai contenuti delle pagine web.
Severgnini sostiene che l’abitudine ammazza i pensieri, mentre “in viaggio si riflette e si inventa”; si mettono a frutto gli stimoli esterni o semplicemente l’inattività e la quasi immobilità alla quale si è costretti. Probabilmente questo è ciò che resta a noi moderni cittadini del mondo globalizzato dell’otium intellettuale tanto celebrato dagli umanisti.
Non far niente è il lavoro più duro di tutti” O. Wilde
P.S: Anche questo post è targato Trenitalia

2 commenti:

  1. Leggendo il tuo post mi sono ricordata di tutti i miei viaggi in treno durante il periodo universitario e di come la mia attenzione veniva puntualmente catturata dalle persone che mi siedevano accanto. Perfetti sconosciuti, donne o uomini, ragazzi o ragazze che facevano sempre qualcosa, leggevano, armeggiavano con zainetti e valigette, scarabocchiavano appunti (all'epoca c'erano pochissimi laptop)studiavano... anch'io facevo qualcosa, li guardavo rapita pensando a quali potessero essere i loro pensieri in quel momento e se provavano in fondo in fondo la stessa malinconia che il viaggiare in treno ha sempre trasmesso a me. Poi l'effetto era terapeutico, la mia mente si svuotava e mi assaliva un torpore benefico come quando il parrucchiere ti fa lo shampoo e non riesci a tenere gli occhi aperti. E se per caso scendevano ad una fermata precedente la mia, un po' mi dispiaceva.
    Cri

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  2. Bellissimo post, Giulia!Lo confesso, faccio parte della schiera che sonnecchia!!!
    Ho ripensato anch'io ai miei viaggi in treno ai tempi dell'università.
    Funzionava più o meno così: Perugia-Barcellona (di Sicilia) e viceversa durata viaggio, salvo scioperi, 14/16 ore.
    Barcellona –Perugia : posto in C6 promiscuo (non esistevano le cuccette solo donne o solo uomini etc….),salutavo i miei dal finestrino e nonostante le loro insistenze non mi muovevo di lì finché il treno non ripartiva, così evitavo di metterli in ansia perché magari ero capitata in un cuccetta con 5 uomini (notte in bianco!!).
    Perugia-Barcellona : viaggio diurno posto a sedere…nei corridoi, il massimo che potevo ottenere per le mie esigue finanze.
    Il mio viaggio non era certo ad “alta velocità”, niente telefonini, nessun modo per comunicare con qualcuno al di fuori di quel treno!
    Dopo un momento di diffidenza iniziale bastava infatti, che qualcuno offrisse una caramella e da quel momento non riuscivi più a fermare quegli sconosciuti che volevano raccontarti ad ogni costo qualcosa di loro. Mi mancano da morire quei viaggi, le risate e l’inconsapevolezza di come il mondo sarebbe cambiato!Il modo in cui è cambiato, Giulia, non avresti potuto descriverlo meglio!

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